«Questi ragazzi sono unici» «È qui che ritrovo la serenità grazie ai loro sorrisi e capisco cosa conta davvero»
Un bancone è pieno zeppo di galleggianti da pesca. Un altro di targhette metalliche per camion. Quattro ragazzi in uno e sette nell’altro vi lavorano senza sosta. Indossano dei grembiuli blu. Alzano lo sguardo, sorridono, salutano e riprendono a lavorare.
C’è chi li chiama speciali quei ragazzi. E sicuramente non sbaglia. Lo sono eccome. Ognuno a modo proprio. Sono i ragazzi del Caspita, il laboratorio per diversamente abili dell’Asp di Vignola. Non un centro diurno, molto di più; un luogo in cui imparare un mestiere e “diventare grandi”. E tra quei ragazzi speciali c’è un ospite abituale. Un amico di famiglia che ogni settimana passa a trovare quei ragazzi. Lo riconosci per quel fisico statuario che Madre natura gli ha donato, ma ti chiedi anche perchè lui, Francesco Acerbi, calciatore di serie A, sia lì, con quel grembiule blu ad assemblare galleggianti.
«Vengo qui perchè questi ragazzi hanno sempre il sorriso». Risposta semplice, ad una domanda che non lo era.
«Mi rilassa molto partecipare alle attività del Caspita, vedo ragazzi in gamba e che soprattutto non lasciano mai trasparire il fatto che abbiano dei problemi. Il loro sorriso fa molto piacere e fa riflettere. Ci lamentiamo, certe volte, delle cavolate della vita. E loro, invece, qui hanno un mondo fatto di felicità. Alcuni suonano strumenti musicali, giocano a bowling o a calcio. Hanno una vita normalissima, ma migliore della nostra in alcuni casi perchè lavorano ed hanno felicità da vendere. Questo è quello che manca un po’ a me e un po’ in generale a tutti noi».
Francesco si divide tra il Caspita e il centro i Portici, non molto distante, dove ci sono ragazzi con disabilità medio-gravi. Così può trascorrere un po’ di tempo con tutti: «Oggi faccio i galleggianti – sorride -, altre volte pitturo o lavoretti con la creta. La prima volta? Non è stato difficile grazie al loro atteggiamento positivo. Sono ragazzi molto intelligenti con cui si ride, si scherza e con cui chiacchiero di tutto. Parlare con loro mi dà grande soddisfazione, anche più che con persone cosiddette “normali”. E sai perché? Perchè dicono la verità, sempre. Non hanno secondi fini, non ti mostrano una maschera. Loro sono come li vedi. Genuini. E questo mi permette di sentirmi a mio agio, senza dover tenere la guardia alzata. Dovrebbe essere così per tutti. È un’oasi di tranquillità in cui mi rilasso moltissimo e vedere loro che si impegnano è gratificante. E poi sono dei gran lavoratori, qui non si sgarra».
Ha sconfitto il cancro due volte. «La mia malattia, però, non avrebbe influenzato la decisione di fare volontariato con questi ragazzi. Anche prima ero una persona con dei valori. Quello che penso è che forse lo avrei fatto con una mentalità differente. Sarei andato perchè era giusto andare ma non con le stesse motivazioni».
Ma non si deve parlare di un senso di restituzione verso la società: «Quella del calciatore è una professione come le altre. Ovviamente siamo agiati ed è una passione, ma è anche un lavoro duro, che dura pochi anni e che richiede tanti sacrifici. Implica uno sforzo mentale complesso e ti sottopone ad un’enorme pressione. Ringrazio la vita e chi mi è stato vicino, ma non mi sento in debito verso la società. Semmai è la società, e mi ci metto anche io, che potrebbe imparare tanto da questi ragazzi. Con poco si divertono ed hanno grandi principi. Vivono un mondo simile al nostro, ma molto più positivo»
Riferimento “Gazzetta di Modena” del 15/03/2018